Storia sociale – diario settimanale (9)

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Ci avviciniamo a grandi passi verso le ultime lezioni del corso e poi verso la seconda prova scritta prevista per il 9 gennaio 2014 dalle ore 14.00 alle ore 16.00 (l’aula dovrebbe essere la 2). Nella settimana appena conclusa si sono affrontati i principali snodi di un decennio importante: quello degli anni ’60. In ambito internazionale si è partiti dal costruirsi della Affluent society e dai tratti caratterizzanti la cosiddetta Golden Age, cioè il trentennio di crescita e sviluppo vissuto dall’Occidente negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. Si sono analizzate le dinamiche sociali legate a questo fenomeno, in particolare la crescita, grazie all’affermarsi di un mercato dei consumi di massa, di un nuovo ceto medio e l’incremento demografico con l’emergere della generazione dei baby boomers e delle sue istanze. Dopo un panorama sui principali spartiacque di politica internazionale. l’elezione di Kennedy, le difficili relazioni USA-URSS (dalla Baia dei Porci alla crisi dei missili a Cuba, passando per l’abbattimento dell’U2 e la costruzione del muro di Berlino), la guerra dei Sei Giorni, culminato negli eventi del 1968 (l’Offensiva del Tet, la contestazione, i fatti di Praga), si è quindi affrontato il caso italiano.

Le vicende interne vissute dal nostro paese sono partite dal miracolo economico (1958-1963) analizzandone le cause e le conseguenze sul piano sociale, economico e del costume. Si è quindi passati alla questione, centrale, di come questa grande trasformazione sia stata governata sul piano politico. Le vicende del centro-sinistra sono state affrontate e svolte nelle differenti fasi evolutive: dalla svolta a seguito del fallimento del governo Tambroni al primo governo di centro-sinistra Fanfani. Dal centro-sinistra organico di Moro (sorto dopo le elezioni e la crisi congiunturale del 1963) fino al “lungo ’68” con la contestazione e poi l’autunno caldo del 1969. La chiacchierata si è quindi conclusa con i tragici eventi del dicembre 1969 (Piazza Fontana) che aprono una nuova e drammatica stagione.

“Now ‘e’s gone too bloody far”

A proposito del progressivo sfaldarsi di quella che Churchill aveva chiamato “Grande alleanza”, a seguito delle divergenze tra i nascenti blocchi occidentale e sovietico, gli studenti mi chiedono alcune precisazioni sulla conferenza degli ambasciatori svoltasi a Londra dal 25 novembre al dicembre del 1947. Quella riunione, non a caso chiamata “conferenza dell’ultima possibilità” si concluse con un fallimento e vide in pratica riunito per l’ultima l’organismo composto dai ministri delle principali potenze alleate uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale: Gran Bretagna (Bevin), Stati Uniti (Marshall), Francia (Bidault) e Unione Sovietica (Molotov).

Così Jean-Baptiste Duroselle sulla sua Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni:

L’opposizione sovietica al piano Marshall, la creazione del Kominform, gli scioperi generalizzati d’ispirazione comunista in Francia, avevano creato una situazione estremamente tesa. Il 14 novembre la polizia francese aveva effettuato una perquisizione nel campo di rimpatrio sovietico di Beauregard e vi aveva trovato delle armi. Il 25, giorno di apertura della conferenza, diciannove cittadini sovietici, accusati di aiutare gli scioperanti contro il governo, furono espulsi. L’8 dicembre, l’U.R.S.S. replicò richiamando dalla Francia la sua missione di rimpatrio ed espellendo la missione francese di rimpatrio dall’Unione Sovietica, mentre restava ancora nei campi di prigionia sovietici un gran numero di abitanti dell’Alsazia-Lorena già arruolati nella Wehrmacht.

A Londra non si fecero che ripetere all’incirca le discussioni di Mosca [si fa riferimento alla conferenza degli ambasciatori di Mosca apertasi il 10 marzo del 1947]. Ma Molotov adottò un tono più violento, con continue allusioni alla “malafede” degli occidentali. Si persero dieci giorni in discussioni su questioni procedurali e quando si arrivò al dunque, Molotov non accettò che la Saar fosse staccata dalla Germania e rifiutò la nomina di una commissione sulle frontiere tedesche. Insistette sulla creazione immediata di un governo centrale tedesco, senza che alcuna misura preventiva fosse stata presa per l’unificazione politica ed economica delle quattro zone [L’atteggiamento di Molotov fu talmente irritante che Bevin, spazientito dall’ennesima richiesta, ad un certo puntò sbottò esclamando: “Now ‘e’s gone too blody far”].

Il 4 dicembre si discusse sul trattato austriaco. Ancora una volta il problema dei beni tedeschi in Austria fece fallire il negoziato, sebbene Molotov avesse leggermente ridotto le sue pretese. In conclusione, come dichiarò il generale Marshall il 19 dicembre, dopo la fine della conferenza, “non possiamo, per il momento, sperare nell’unificazione della Germania. Dobbiamo fare tutto il possibile nella regione in cui la nostra influenza si fa sentire.

Il mondo si divideva nettamente in due blocchi ostili.

(J-B. Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 al 1970, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1972, pp. 445-446)

Storia sociale – diario settimanale (7)

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Processo di decolonizzazione nell’area del Maghreb e nell’Africa subsahariana, vicende internazionali e politica interna di alcuni dei principali paesi negli anni Cinquanta e, facendo un piccolo passo indietro, le vicende dell’Italia dalla caduta del fascismo fino alla nascita della repubblica e alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948: questi i contenuti delle lezioni della settimana che ci siamo lasciati alle spalle. Come abbiamo visto, decolonizzazione, processo di destalinizzazione e conflitto arabo-israeliano hanno trovato nel 1956 un vero e proprio anno-chiave. Con De Gaulle (ma anche Ben Bella) e la fine della guerra in Algeria, con Nasser e la crisi di Suez e soprattutto Chruščëv e l’intervento sovietico in Ungheria, quali protagonisti.

Questa settimana le lezioni sono sospese (ci sono esami). Riprenderemo la prossima parlando ancora di Italia (dal 1948 al 1958) e poi di welfare state: della sua nascita, nel Regno Unito del partito laburista, e del suo sviluppo tra anni ’50 e ’60.

Storia sociale – diario settimanale (6)

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La settimana si è aperta con la prima delle due prove scritte, incentrata sugli argomenti sin qui trattati a lezione (dalla prima guerra mondiale alla seconda, compresa). Risultati in chiaroscuro: a parte la scarsa abitudine a scrivere di e su tematiche storiche in alcuni casi sono emerse gravi lacune di base che ormai sempre più pongono la questione dell’organizzazione dell’insegnamento superiore (e in certi casi di base) prima ancora che universitario. A parte i limiti di preparazione frutto che denotano la mancanza di un metodo di studio (cosa che la scuola dovrebbe invece aiutare a sviluppare negli studenti) sconcerta la difficoltà nell’organizzare un testo e nella scelta del giusto registro, il fiorire di gergalismi e frasi fatte, la sintassi (e qualche volta pure l’ortografia) zoppicante. Aggiungiamoci poi i limiti di un sistema universitario che impone di organizzare corso di storia (l’unico in questo caso in tutto il percorso formativo, quindi necessariamente di base) di 66 ore (“brevi cenni sull’universo”, verrebbe da dire) ed ecco che scaturisce, accanto a prove comunque positive, un quadro d’insieme che purtroppo ogni anno pare peggiorare e che certo non aiuta a guardare al futuro – almeno quello immediato – con troppo ottimismo.

Lamentazioni e sfoghi a parte, nei giorni successivi abbiamo proseguito seguendo il filo rosso delle vicende del ‘900 con l’immediato secondo dopoguerra con l’affievolirsi e poi il disgregarsi di quella che Churchill durante la seconda guerra mondiale aveva definito  la “grande alleanza”, fino al bipolarismo e allo scoppio della guerra fredda. Si è parlato della “cortina di ferro” e della contrapposizione USA-URSS per poi passare ad illustrare la prima fase del processo di decolonizzazione, in particolare quella relativa ai paesi asiatici (su tutti il subcontinente indiano e il Vietnam) e dell’area del Medio Oriente, dedicando particolare attenzione alla questione arabo-israeliana.

La prossima settimana continueremo con la seconda e la terza fase del processo di decolonizzazione (rispettivamente quella che interessò i paesi del Maghreb e poi l’Africa subsahariana) per poi affrontare le vicende degli anni Cinquanta e, infine, vedere nel dettaglio gli avvenimenti e le questioni riguardanti l’Italia dalla caduta del fascismo alla vigilia del miracolo economico.

Buon fine settimana a tutti.

Storia sociale – diario settimanale (5)

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Con questa settimana si è conclusa la prima parte del corso. Svolto definitivamente con l’URSS di Stalin il tema dei totalitarismi, abbiamo visto l’evoluzione delle relazioni internazionali dalla seconda metà degli anni Venti fino all’invasione della Polonia seguendo in particolare da un lato le iniziative hitleriane in politica estera e dall’altro il progressivo ribaltamento delle alleanze dell’Italia fascista con la guerra d’Etiopia e la guerra civile spagnola quali importanti spartiacque. Si è parlato di appeasement e dei suoi protagonisti e del progressivo sgretolamento degli equilibri costruiti alla conferenza di Pace di Versailles. Infine, si è affrontata la seconda guerra mondiale nelle sue differenti fasi: dall’aggressione alla Polonia fino alle bombe atomiche sul Giappone.

Molti i nomi e le suggestioni: da Ramón Mercader a Neville Chamberlain protagonista della Conferenza di Monaco e della politica di concessioni alle rivendicazioni naziste di politica estera. Abbiamo spesso citato l’americano William Shirer, giornalista e testimone delle vicende che condussero alla seconda guerra mondiale, autore della Storia del Terzo Reich e de La caduta della Francia. Si è parlato di Guernica (e di Picasso), del bombardamento di Coventry e della “coventrizzazione” di Dresda, richiamando il visionario e grottesco romanzo pacifista del 1969, Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut.

Mercoledì 5 prima prova (scritta) intermedia: tre domande aperte sul programma svolto sin qui riservate agli studenti frequentanti. Poi si prosegue con il secondo dopoguerra cominciando dal 1945 “anno zero” per l’Europa e per un mondo che si accinge a cadere nelle mani di due superpotenze: USA e URSS.

Storia sociale – diario settimanale (4)

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Tre lezioni tutte legate da un denominatore comune: la crisi (del 1929), con i suoi effetti economici, politici e in termini di politiche di protezione sociale.

Partendo dagli anni ruggenti si è passati al crollo di Wall Street e dagli Stati Uniti del New Deal si è quindi varcato l’oceano per affrontare le ripercussioni in Europa, con particolare attenzione al Regno Unito e alla Francia, ma soprattutto alla Germania e all’Italia. In un contesto contraddistinto dalle paure e della incertezze, innanzitutto economiche, collettive, si sono poi trattate le tre diverse risposte alla depressione: quella degli Stati sociali autoritari-totalitari, quella delle socialdemocrazie nordiche (con particolare attenzione all’alleanza rosso-verde e al “compromesso” svedese del 1938) e quella imperniata sul concetto di social security che, sperimentata negli Stati Uniti di Roosevelt, influenzerà le formulazioni di William Beveridge, il padre del welfare state britannico. Infine, si è affrontato il tema dei totalitarismi, partendo da una definizione di questo termine e da un breve panorama su alcune delle principali interpretazioni storiografiche per poi trattare l’ascesa al potere del nazionalsocialismo le cui dinamiche interne sono state trattate fino alla vigilia dello scoppio del secondo conflitto mondiale.

Molti i nomi e le suggestioni: oltre a quelli sopra citati e a quelli inseriti nei due post precedenti si è parlato di George Orwell e del suo 1984, distopica visione di un mondo nelle mani del “Grande Fratello”, del libro di Götz Aly sullo Stato sociale nazionalsocialista e sui suoi gerarchi e del “livellamento spirituale” che seguì all’avvento al potere di Hitler. Si è anche parlato dell’Esposizione Universale di Parigi del 1937, del padiglione tedesco e di quello sovietico, delle olimpiadi di Berlino e in particolare del grandissimo Jessie Owens e della regista Leni Riefenstahl, che le filmò in Olympia.

Ci avviciniamo a grandi passi alla fine della prima parte del corso e dunque alla prova intermedia: la prossima settimana vedremo infatti il totalitarismo sovietico negli anni Trenta e soprattutto seguiremo il dipanarsi degli avvenimenti internazionali che condussero allo scoppio della seconda guerra mondiale per poi seguirne gli sviluppi e la conclusione.

A proposito di riforme, di politica (e di guardare un po’ più in là del proprio naso)

Ieri a lezione abbiamo letto alcuni passaggi del Libro Bianco su Assicurazioni sociali e Servizi Assistenziali redatto da Sir William Beveridge alla fine del 1942.

Il Rapporto Beveridge è la pietra angolare sulla quale, dopo la seconda guerra mondiale, venne edificato il welfare state.

Dando una scorsa ai Tre principii-base per proposte e direttive che vi sono contenuti, tuttavia, non può non balzare agli occhi una lezione di metodo (e non solo di quello) utile anche per l’oggi:

Primo: ogni nuova proposta per l’avvenire, pur approfittando dell’esperienza acquisita in passato, non deve essere limitata da quelle considerazioni di dettaglio consolidatesi nell’ottenere tale esperienza. E’ proprio adesso, con la guerra che tende ad eliminare ogni genere di limitazioni e di differenze, che si presenta meglio l’occasione di usare l’esperienza acquisita, in un campo fatto libero. Un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali invece di semplici rattoppi.

Secondo: l’organizzazione delle assicurazioni sociali deve essere trattata come parte di una comprensiva politica di progresso sociale. L’assicurazione sociale, quando sia pienamente sviluppata, può procurare sicurezza di reddito; è un attacco alla miseria. Ma la Miseria è soltanto uno dei cinque giganti sul cammino della ricostruzione, e forse il più facile ad attaccare. Gli altri sono la Malattia, l’Ignoranza, lo Squallore e l’Ozio.

Terzo: il benessere collettivo deve essere raggiunto a traverso una stretta cooperazione tra lo Stato e l’individuo. Lo Stato deve fornire protezione in cambio di servizi e contribuzioni, e nell’organizzazione di tale protezione lo Stato non deve soffocarne né le ambizioni, né le occasioni, né le responsabilità; stabilendo pertanto un minimo di attività nazionale non deve però paralizzare le iniziative che portano l’individuo a provvedere più di quel dato minimo, per se stesso e per la sua famiglia.

(Social Insurance and Allied Services. Report by Sir William Beveridge, tradotto in W. Beveridge, Alle origini del welfare state. Il Rapporto su Assicurazioni Sociali e Servizi Assistenziali, con saggi di U. Ascoli, D. Benassi, E. Mingione, Milano, F. Angeli 2010, pp. 47-48).

P.S. Per gli interessati, cliccando qui potete ascoltare la registrazione del programma radiofonico della BBC con il quale Beveridge, il 2 dicembre 1942, annunciava agli inglesi il proprio progetto.

Il mio nome è Le Queux, William Le Queux

queuxA proposito della cosiddetta “letteratura dell’invasione” destinata ad un pubblico popolare che precede (ed annuncia) la prima guerra mondiale, abbiamo parlato di William Le Queux, prolifico autore anglo-francese di romanzi di avventura e con risvolti spionistici, tanto da essere considerato una sorta di precursore del genere spy-story reso celebre nel secondo dopoguerra da Ian Fleming e dal suo Agente 007.

Il romanzo di cui si è parlato, e del quale qui a fianco è riprodotta la copertina, si intitola The Great War in England in 1897. Se poi qualcuno volesse leggerlo, è disponibile, gratuitamente, in vari formati elettronici qui.

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