A proposito dello sciopero generale del 1904

“Il primo sciopero generale in Italia, quello del settembre 1904 che, con l’occasione di alcuni conflitti accaduti in Sicilia e in Sardegna, s’iniziò da Milano e per quattro giorni parve aver messo l’Italia intera nelle mani degli operai perché ne disponessero a loro talento”

Così scriveva Benedetto Croce nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915 a proposito dello sciopero generale del 1904.

Ufficialmente indetto il 15 settembre, a causarlo furono due dei tanti “eccidi operai” verificatisi in questo periodo: quello di Buggerru, in Sardegna, nel Sulcis-Iglesiente (bilancio 3 minatori morti e una ventina feriti), avvenuto il 4 settembre, e quello di Castelluzzo (Trapani) del 14 settembre costato la vita a due contadini (altri dieci rimasero feriti). In un contesto caratterizzato dalla rivendicazione generalizzata di migliori condizioni di lavoro e salari più dignitosi l’uso delle armi da parte della forza pubblica riaccese i ricordi legati ai fatti di Milano del 1898, ulteriormente acuiti dalla notizia della nascita dell’erede al trono di Vittorio Emanuele III, al quale fu attribuito il nome di Umberto, proprio come il re che proprio nel corso dei tumulti di fine secolo aveva decorato Bava Beccaris. Il fatto che molti giornali moderati relegassero la notizia degli eccidi in pagine secondarie, dedicando viceversa ampio risalto alla notizia della nascita dell’erede al trono, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

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Partito da Milano e ben presto diffusosi nelle principali città del paese lo sciopero trovò l’adesione di tutti i lavoratori addetti ai servizi pubblici, seguiti da quelli del settore del commercio, degli stabilimenti e delle officine. Partito socialista e organizzazioni sindacali furono coinvolte loro malgrado nella protesta che si protrasse per alcuni giorni.

Lo sciopero fu anche e soprattutto una prova di forza da parte dei sindacalisti rivoluzionari, in particolare di Arturo Labriola, che in questa fase si contrapponevano all’interno del partito socialista alla componente riformista di Turati che aveva fino a quel momento collaborato con il presidente del Consiglio Giolitti.

Esso si inserì inoltre in una fase di grandi agitazioni rivendicative che aveva toccato il suo apice tra il 1901 e il 1903 ma che proseguì anche nel biennio successivo. Alcune cifre: nel 1903 gli scioperi erano stati 596 con 131.834 scioperanti (22.507 dei quali nel settore agricolo) per raggiungere gli 839 con 219.590 scioperanti (94.756 in agricoltura) proprio nel 1904.

Di fronte a questo che venne colto dai moderati come un vero e proprio tentativo insurrezionale, Giolitti rispose come di consueto con un atteggiamento fermo ma calmo, sciogliendo la Camera e indicendo nuove elezioni che portarono, come reazione, ad un Parlamento decisamente più spostato su posizioni conservatrici.

Scrive Giuseppe Candeloro nella sua Storia dell’Italia moderna:

“Politicamente lo sciopero si concluse con una sconfitta: infatti anche come moto di protesta non ottenne alcun risultato, poiché nessun provvedimento fu preso perché cessassero le azioni repressive sanguinose dei movimenti sociali soprattutto nel Mezzogiorno. Esso inoltre, mentre dimostrò il notevole grado di organizzazione (sul piano locale) e di combattività raggiunto dalla classe operaia, isolò la classe operaia stessa, poiché spaventò i vasti settori della piccola e della media borghesia. Di questo fatto […] approfittò abilmente Giolitti per indebolire i socialisti e l’estrema sinistra in generale. Infine, lo sciopero generale accentuò il contrasto tra riformisti e rivoluzionari. I primi accusarono i secondi di aver voluto trasformare una manifestazione di protesta, giustificata se breve, in un movimento rivoluzionario senza via di uscita; i secondi sostennero invece che lo sciopero era servito a disilludere il proletariato sull’utilità delle lotte puramente politiche e sull’efficacia della politica riformistica.”

Inizio delle lezioni

Le lezioni dell’insegnamento di Storia sociale riservate agli studenti del Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale (L-39) e del Corso di Laurea in Scienze Politiche (L-36) inizieranno lunedì 5 ottobre 2015 alle ore 9.00. 

Le lezioni si terranno in via Mattioli, 10. L’aula sarà indicata sullo schermo all’ingresso della Facoltà.

Ulteriori informazioni su programma orari, organizzazione del corso alla pagina didattica

A lunedì!

Appelli di settembre

Si informano gli studenti che le date dell’appello di settembre di Storia sociale si terranno nei giorni:

  • 9 settembre 2015 – ore 9.00
  • 23 settembre 2015 – ore 9.00

Gli esami si svolgeranno in via Mattioli, 10. L’aula verrà comunicata la mattina stessa dell’esame sulla bacheca elettronica.

Variazione data appello

ATTENZIONE!

Si comunica agli studenti che l’appello di Storia sociale previsto per il 10 giugno prossimo è spostato al giorno 11 giugno 2015 alle ore 9.00. Sono viceversa confermate le date del 24 giugno e dell’8 luglio.

Mi scuso per l’inconveniente.

Valutazione della didattica

Dagli uffici di Ateneo mi hanno comunicato i risultati della valutazione della didattica da parte degli studenti relativi all’insegnamento di Storia sociale per l’anno accademico 2014-2015. Il link al file pdf potete visualizzarlo e scaricarlo qui. I giudizi espressi in precedenza sono invece consultabili qui.

Scontri di civiltà?

Damien Meyer (AFP/ Getty Images)

I drammatici avvenimenti legati all’attentato alla redazione del periodico satirico parigino Charlie Hebdo, costato la vita a dodici persone, hanno riacceso un dibattito ormai annoso sull’occidente e i suoi rapporti con il complesso, articolato (e, nonostante tutto, ancora tutt’altro che conosciuto dall’opinione pubblica) mondo islamico.

Di seguito, per gli studenti che fossero interessati ad approfondirne gli aspetti, un contributo su di questo secolare confronto tratto da una mia monografia del 2008, incentrato sull’età dell’imperialismo. Dal quale emergono alcune interessanti analogie con certe interpretazioni ed argomentazioni odierne.

Il bambino scomparso a Viareggio

Le recenti, strazianti notizie di cronaca nera suggeriscono alcune considerazioni sull’orrore e il raccapriccio da sempre destati da alcuni delitti, in particolare da quelli che coinvolgono minori, ma soprattutto sulle ricostruzioni giornalistiche e l’uso più o meno deontologico del “diritto di cronaca” nell’era dei nuovi media (consiglio per farsi un’idea il bel servizio mandato in onda di recente dalla trasmissione Tv Talk).

In questi giorni, a lezione, stiamo parlando e parleremo di anni Sessanta. Fu proprio alla fine di quel decennio che nel nostro paese, per la prima volta in una società in piena e profonda trasformazione, anche il modo di fare cronaca nera cambiò, non necessariamente in meglio ma sicuramente assumendo forme nuove e “moderne”. Non si era ancora alle dirette televisive (la svolta sarebbe arrivata qualche anno dopo con il caso di Vermicino) ma anche allora una drammatica “caccia al mostro” si concluse con un clamoroso colpo di scena. Anche allora, come oggi, c’era di mezzo la terribile morte di un ragazzino.

Propongo alla lettura degli studenti questo breve contributo tratto dagli appunti di una ricerca attualmente in corso di stesura dedicata alle paure e le incertezze collettive degli italiani dal miracolo economico al nuovo millennio.

La Conferenza di Potsdam

Uno studente mi chiede chiarimenti tramite facebook circa le decisioni riguardanti la Germania prese durante la Conferenza di Potsdam. Vengo subito al punto: la Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto), preceduta da quella di Yalta (11-14 febbraio) e dalla Conferenza costitutiva delle Nazioni Unite di San Francisco (25 aprile-25 giugno) fu l’ultima grande conferenza dei “tre grandi”, i capi di governo di Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna.

Truman (subentrato alla presidenza USA dopo la morte di Roosevelt nell’aprile del ’45), Stalin e Churchill (poi sostituito dal laburista Clem Attlee, vincitore alle elezioni di luglio, tra lo stupore di Stalin, poco avvezzo agli effetti delle consultazioni democratiche) furono chiamati a discutere del futuro del mondo, del futuro delle potenze sconfitte (Germania e Italia su tutte, mentre il Giappone ancora resisteva) e dei rapporti tra i loro rispettivi paesi.

Per quanto riguarda la Germania, per la quale era già stato stabilito il principio della divisione temporanea in quattro zone di occupazione, proseguirono le trattative sui confini di queste ultime. A Potsdam venne deciso che il settore francese di Berlino sarebbe stato ricavato dai settori britannico e americano. Per quanto riguarda i confini, abbandonata l’idea di uno smembramento della Germania e di una sua ruralizzazione (il “piano Morgenthau”), in attesa di una decisione definitiva – che si sarebbe dovuta prendere alla conferenza di pace – l’URSS aveva già attributo alla Polonia i territori tedeschi ad est della linea Oder-Neisse, spostandone dunque i confini verso ovest, occupato Königsberg (ribattezzata Kalliningrad) e smembrato la regione della Prussia orientale.

A Potsdam , riguardo questo punto, Stati Uniti e Gran Bretagna promisero di appoggiare in sede di conferenza di pace il passaggio di Königsberg e di parte della Prussia Orientale all’Unione Sovietica ma non presero impegni precisi sulla linea Oder-Neisse, limitandosi ad accettare l’amministrazione temporanea della Polonia.

Sempre riguardo la Germania, venne però trovato un accordo sui “principi politici ed economici” che avrebbero dovuto governare i territori tedeschi durante la fase iniziale del controllo alleato. Questi, schematicamente, erano:

  • Disarmo completo e smilitarizzazione;
  • Completo scioglimento del partito nazionalsocialista;
  • Abolizione della legislazione nazista;
  • Deferimento dei criminali di guerra;
  • Epurazione dei membri del partito nazista;
  • Controllo dell’istruzione tedesca;
  • Adozione di una politica di decentralizzazione e democratizzazione;
  • Severo controllo e riduzione della produzione economica tedesca;
  • Accordo sull’entità delle riparazioni di guerra per le potenze vincitrici.

La Conferenza si chiuse in un clima apparentemente ottimistico. Invece quegli accordi, che avrebbero dovuto rappresentare la base di partenza per una successiva e condivisa soluzione della questione tedesca, erano destinati a restare privi di seguito a causa dello scoppio della guerra fredda.

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