Radici ed evoluzione del “welfare socialdemocratico”

E’ uscito all’interno del terzo fascicolo del 2012 della rivista Sociologia e politiche sociali (numero curato da Andrea Bassi che affronta da prospettive differenti le varie sfaccettature del rapporto tra religioni e politiche sociali e più in generale dello “spirito” dei modelli di welfare state in Europa in una prospettiva di lungo periodo) un mio articolo intitolato La Gerusalemme celeste in terra. Radici ed evoluzione del “welfare socialdemocratico“. Il richiamo nel titolo è al Jerusalem speech tenuto da Clement Attlee, leader laburista, al Congresso di Scarborough del 1951. Si parte parlando del labour ma, più in generale, si tratta di come la “famiglia” del socialismo europeo si sia rapportata alle politiche di protezione sociale. Dalle “tetre fabbriche di Satana” della Rivoluzione industriale alla golden age. Fino alla attuale crisi del welfare state.

Se alla fine (come al solito) ci pensa la famiglia

welfare_reformTralasciamo per un attimo la questione di come si possa ragionevolmente pensare  che la scuola pubblica che, come ben sanno tutti i genitori italiani, già fatica ad andare avanti per la mancanza di risorse con il calendario didattico vigente riesca a funzionare (e bene) per 11 mesi l’anno, e soffermiamoci invece  sull’idea di fondo che pare ispirare una delle proposte ventilate ieri dal presidente del Consiglio uscente.

Anche se generico, quel richiamo alla “partecipazione volontaria delle famiglie” sembra voler ritagliare un ruolo rilevante proprio per queste ultime in quella che appare una ipotesi di riassetto (l’ennesimo) del sistema educativo. Fin qui nulla di male. E neanche nulla di particolarmente nuovo. Da tempo, in certi casi da sempre per via di una radicata tradizione in tal senso presente nel nostro paese, e più recentemente per il concomitante arretramento dello Stato sociale, dovuto alla sua crescente crisi di sostenibilità, le famiglie svolgono un compito di questo tipo non solo in campo educativo ma più in generale in campo sociale.

Nel corso di questi ultimi decenni, ad integrare quel “primo welfare“, di natura pubblica, sempre più in difficoltà si è man mano sviluppato quello che qualcuno ha chiamato il “secondo welfare“, ovvero una rete di servizi erogata da vari soggetti di natura privata o non profit (il cosiddetto “terzo settore”): imprese, assicurazioni, fondazioni bancarie (sì, proprio loro), associazioni, organizzazioni filantropiche, sindacati e altri enti. Il principio ispiratore che muove questo variegato settore è quello della sussidiarietà e l’idea che lo muove, per usare una espressione mutuata dall’inglese, è quella della welfare community, principi cardine, peraltro, per una parte importante di quella cultura sociale cattolica alla quale sotto molti aspetti Scelta Civica sembra volersi richiamare. E anche qui nulla di male – anzi bene – poiché in attesa che nasca un nuovo Beveridge (ammesso che Beveridge sia la risposta ai mali del welfare del XXI secolo) e soprattutto di margini di manovra pubblici in termini di finanziamento per i servizi sociali, forse proprio questo welfare mix appare una delle poche ipotesi praticabili, almeno nell’immediato, per scongiurare un ulteriore drammatico ridimensionamento della sicurezza sociale che, diciamolo subito a scanso di equivoci, così com’è non funziona proprio (ma anche questa non è una novità).

In attesa di capire meglio che cosa si intendesse con quelle stringate battute diffuse ieri dalla stampa (ma c’è già stata una precisazione) il dubbio risiede proprio nel ruolo che ancora una volta si vorrebbe assegnare alla famiglia, una famiglia – ricordiamolo – che oltretutto, sottoposta com’è a tensioni, sollecitazioni e trasformazioni di vario genere non se la passa più bene come un tempo. Non dimentichiamoci che le famiglie sono già chiamate – e da molto, come si è detto – a svolgere la funzione di primo (spesso unico) ammortizzatore sociale nel campo del mercato del lavoro, dell’alloggio, della cura e dell’assistenza agli anziani, nel sostegno delle madri e in mille altre questioni, tra le quali proprio quelle legate all’istruzione e alla cura dei figli. E’ vero che, per quanto soffrano, resistono ma è altrettanto vero che sono sempre più sole e, come ribadiscono alcune notizie di oggi, prive di sostegno.

Gli interrogativi dunque sono molti. In generale: siamo sicuri che questo sistema di welfare community sia già così articolato, efficiente, radicato sul territorio, integrato con il primo welfare e con le sempre più traballanti istituzioni locali da consentire ai nuclei familiari di reggere un peso che si fa di giorno in giorno, stante la crisi, più gravoso? Si dirà che la proposta di cui sopra intende rispondere esattamente a questa esigenza, venendo incontro proprio alle famiglie, in particolare di quelle con entrambi i genitori che lavorano, nell’accudire i figli dopo la conclusione dell’anno scolastico. Giusto. Ma allora, entrando nello specifico, dev’essere proprio e soltanto la scuola, anzi questa scuola, a svolgere tale funzione? E soprattutto, tornando alle perplessità iniziali, davvero si pensa che sia questo il momento di rilanciare su questioni rilevanti e delicate come l’istruzione, in assenza di risorse certe, senza aver prima sciolto i nodi esistenti?

Polarizzazione (tu chiamala se vuoi)

Visti gli attuali chiari di luna la cosa potrà apparire sorprendente ma per i pochi super-ricchi del pianeta quello che si è appena concluso è stato un anno favoloso. Per almeno trent’anni, un certo modello economico neoliberista, divenuto predominante, ha sostenuto l’idea che favorire la ricchezza dei pochi si traducesse in benefici per l’intera società. Zygmunt Bauman, dati alla mano, descrive in questo articolo quello che invece (abbastanza logicamente) è successo alla fine:

Almost everywhere in the world inequality is growing fast and that means that the rich, and particularly the very rich, get richer, whereas the poor, and particularly the very poor, get poorer – most certainly in relative, but in a growing number of cases also in the absolute terms. Moreover: people who are rich are getting richer just because they are rich. People who are poor get poorer just because they are poor.

Memorie del futuro (prossimamente, a Venezia)

venezia2013
Il 18 e il 19 febbraio 2013, a Venezia, presso la Sala Media di Palazzo Cosulich, (Dorsoduro 1405) la Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici, Antropologici organizza un seminario dal titolo

Memorie del futuro
Rileggere tempo, spazio e società attraverso le attese del passato

Nell’ambito di questo incontro, il 19 febbraio pomeriggio all’interno del Panel 5 (inizio ore 17.00) dedicato a Attese economiche, memorie di crisi  presenterò un contributo dal titolo Stato sociale, contratto sociale, democrazia: attese e delusioni.

Clicca qui per il programma completo.

(Continuare a) Tirarsi la zappa sui piedi

European leaders, having created Depression-level suffering in debtor countries without restoring financial confidence, still insist that the answer is even more pain. The current British government, which killed a promising recovery by turning to austerity, completely refuses to consider the possibility that it made a mistake.

And here in America, Republicans insist that they’ll use a confrontation over the debt ceiling — a deeply illegitimate action in itself — to demand spending cuts that would drive us back into recession.

The truth is that we’ve just experienced a colossal failure of economic policy — and far too many of those responsible for that failure both retain power and refuse to learn from experience.

Paul Krugman,  ieri

In trasferta, a Monaco

ESEH13-conferencelogoLa presidenza del Comitato scientifico della European Society for Environmental History mi informa che la proposta di paper (titolo: Industrial disasters and environment. The Vajont dam overflow) per la prossima conferenza biennale è stata accettata. Per cui dal 20 al 24 agosto prossimo si va a Monaco di Baviera.

Sperando che stavolta non vada a finire così (si scherza, eh).

La gestione dei beni culturali nel mosaico delle autonomie locali: un seminario a Siena

La Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati” di Firenze, il Centro Interuniversitario per la Storia del Cambiamento Sociale e dell’Innovazione (Ciscam) e l’Associazione di Promozione Sociale “Storia e Futuro” con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali organizzano il

Seminario di studi

La gestione dei beni culturali nel mosaico delle autonomie locali

Siena 12 dicembre 2012
Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali
via P.A. Mattioli, 10

Programma dei lavori

Ore 9.30
Presiede
Maurizio Degl’Innocenti
Università di Siena
Presidente Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati”

Angelo Varni
Università di Bologna
Introduzione ai lavori

Andrea Ragusa
Università di Siena
La prospettiva regionalista: un nuovo terreno per la gestione dei beni culturali?

Paolo Passaniti
Università di Siena
La tutela del paesaggio tra centro e periferia: il ruolo di Alberto Predieri

Gianni Silei
Università di Siena
Il disastro come opportunità: i casi dell’alluvione di Firenze e del Vajont

Alberto Malfitano
Università di Bologna
Le politiche per il territorio: la difficile gestione della dorsale appenninica

Gabriele Fattori
Università di Siena
I beni di interesse religioso: da beni spirituali a beni culturali

Anna Lisa Maccari
Università di Siena
Beni culturali ed ambientali: la riforma del Titolo V della Costituzione e la cultura della de-responsabilità

Conclusioni

 

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