Sull’inizio della fine dei ceti medi in Italia

Su Repubblica.it (il link all’articolo lo trovate qui) Ilvo Diamanti torna a parlare della questione della fine dei ceti medi, dell’ascensore sociale che si è inceppato, in Italia come in molte realtà occidentali a dire il vero, “in modo” – a suo dire – “molto più rapido e sostanziale” rispetto ad altri casi nazionali. Per quanto basate su rilevazioni imperniate sulla percezione del declino (ma a ben vedere i recenti dati quantitativi reali confermano questo andamento), le riflessioni di Diamanti appaiono condivisibili. Visto da un’ottica di lungo periodo, tuttavia, questo processo pare tuttavia avere origine, paradossalmente, proprio da quegli anni Ottanta che nel nostro paese segnarono, a questo punto in apparenza, il trionfo della “cetomedizzazione”. Qui sotto, un contributo in questo senso, tratto da un intervento pubblicato su questo libro curato da Fabio Lucchini sul disagio collettivo nel XXI secolo.

L’incubo del declassamento. Appunti per una storia del malessere dei ceti medi

“And I have in my hand, a piece of…”

E ancora una volta a lezione siamo arrivati alla Conferenza di Monaco e al trionfale ritorno in patria di Neville Chamberlain con relativa memorabile (quanto poco lungimirante) dichiarazione resa a stampa e cinegiornali non appena sceso dalla scaletta dell’aereo. Episodio liberamente ricostruito dal duo Cook-Cleese nel memorabile sketch qui sotto (la qualità non è il massimo, ma merita).

Ah, l’originale, da vedere non fosse altro perché la somiglianza di Cleese con Neville è impressionante, lo trovate qui.

A proposito del secolo breve

Oggi, con l’avvio delle lezioni del primo semestre, inizia il corso di Storia sociale. Questo pomeriggio introducendo i temi di cui ci occuperemo nei prossimi mesi, parliamo, tra le varie cose, delle differenti interpretazioni del ‘900 e, in questo ambito, del “secolo breve” di Eric J. Hobsbawm scomparso esattamente un anno fa.

Di seguito, ad uso degli studenti e di chi fosse interessato, una sua intervista raccolta da Michael Ignatieff. Per approfondire la sua interpretazione, ma più in generale anche per alcuni interessanti spunti sul metodo e sul mestiere dello storico.

La guerra di Kokoschka

Seguendo il dipanarsi della storia del Novecento siamo arrivati a parlare delle vicende legate alla seconda guerra mondiale e agli eventi che la precedettero: l’Anschluss, la Guerra di Spagna, la Conferenza di Monaco. Da uno scambio di battute con una amica e collega è venuto fuori un riferimento al quadro, L’uovo rosso, che Oskar Kokoschka dipinse pensando proprio al Patto che segnò il destino della Cecoslovacchia. Quel quadro non è però l’unico lavoro che l’artista realizzò pensando a quella tragica stagione della storia d’Europa e del mondo. Ecco allora, con le sue stesse parole come commento, quelli che Kokoschka definì i suoi quadri politici, dipinti tra il 1939 e il 1943.

L’uovo rosso

L’uovo rosso fu dipinto tra il 1939 e il 1941. Si vede un pollo arrosto – la Cecoslovacchia – che vola via e depone sul piatto un uovo rosso. Nello sfondo Praga brucia. Intorno al tavolo siedono Mussolini e Hitler con un elmo di carta, sotto al tavolo c’è un gatto con un cappello da Napoleone e una coccarda e dietro, con la coda che forma il segno della sterlina, il leone inglese su di un piedistallo con l’iscrizione: ‘In pace Munich’. Il quadro fu a suo modo profetico.

Alice nel Paese delle meraviglie e Lorelei

 

Nel 1942 ne ho dipinto un altro, Alice nel paese delle meraviglie, sull’Anschluss dell’Austria, e poco dopo la Lorelei. Si vede la Gran Bretagna che ha perduto la supremazia sui mari, un polipo si allontana con il tridente, l’emblema della potenza marina. La regina Vittoria, che ha creato la potente flotta inglese, è a cavallo di un pescecane e gli riempie la bocca di marinai bianchi, olivastri e neri. Solo la rana sulla sua mano rifiuta di accettare lo stesso destino: rappresenta l’Irlanda, dove non ci sono altri rettili che le rane.

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Eric J. Hobsbawm (1917-2012)

Il mio obiettivo è di comprendere e spiegare perché le cose siano andate in un certo modo e come i fatti si colleghino tra loro. Per tutti i miei coetanei, che sono vissuti lungo tutto il Secolo breve o per gran parte di esso, questo compito è anche, inevitabilmente, uno sforzo autobiografico. Parliamo dei nostri ricordi, ampliandoli e correggendoli, parliamo come uomini e donne di un tempo e di uno spazio particolari, coinvolti, in varie guise, nella storia; ne parliamo come attori di un dramma – per quanto insignificanti siano state le nostre parti – , come osservatori del nostro tempo e, non da ultimo, come persone le cui opinioni sul secolo sono state formate da ciò che noi siamo giunti a considerare come eventi cruciali. Noi siamo parte di questo secolo ed esso è parte di noi. I lettori che appartengono a un’altra epoca, per esempio lo studente che accede all’università nel momento in cui questo libro viene scritto, per il quale perfino la guerra del Vietnam rientra nella preistoria, non dovrebbero dimenticarlo.

Eric J. Hobsbawm, storico.

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