Coraggio

A ben vedere manca ancora un ultimo appuntamento, quello della seconda prova scritta, ma anche per questo anno accademico le lezioni di storia sociale si sono concluse. Per chi mi conosce, la mia passione per La scuola della violenza, un vecchio film degli anni ’60 con Sidney Poitier, è cosa nota. La storia non è così originale: per esempio ricorda molto Il seme della violenza, di cui abbiamo parlato proprio a lezione qualche settimana fa; certe atmosfere sono di maniera e molto “buoniste”. Eppure il modo con cui il personaggio del professore idealista (anche questo un classico) di questo film stava dietro quella cattedra è sempre piaciuto. Cerco di ricordarmelo soprattutto adesso che il destino ha voluto che mi ci mettessi io, dietro una cattedra. E provo a fare del mio meglio. Ogni tanto capita anche che mi riascolti questo pezzo che accompagnava quella storia. Lo dedico, per l’ennesima volta, ai ragazzi. A quelli del corso di quest’anno. Con un ringraziamento e con l’esortazione contenuta nel titolo là sopra. Forza, ne avete bisogno.

Storia sociale – diario settimanale (9)

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Ci avviciniamo a grandi passi verso le ultime lezioni del corso e poi verso la seconda prova scritta prevista per il 9 gennaio 2014 dalle ore 14.00 alle ore 16.00 (l’aula dovrebbe essere la 2). Nella settimana appena conclusa si sono affrontati i principali snodi di un decennio importante: quello degli anni ’60. In ambito internazionale si è partiti dal costruirsi della Affluent society e dai tratti caratterizzanti la cosiddetta Golden Age, cioè il trentennio di crescita e sviluppo vissuto dall’Occidente negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. Si sono analizzate le dinamiche sociali legate a questo fenomeno, in particolare la crescita, grazie all’affermarsi di un mercato dei consumi di massa, di un nuovo ceto medio e l’incremento demografico con l’emergere della generazione dei baby boomers e delle sue istanze. Dopo un panorama sui principali spartiacque di politica internazionale. l’elezione di Kennedy, le difficili relazioni USA-URSS (dalla Baia dei Porci alla crisi dei missili a Cuba, passando per l’abbattimento dell’U2 e la costruzione del muro di Berlino), la guerra dei Sei Giorni, culminato negli eventi del 1968 (l’Offensiva del Tet, la contestazione, i fatti di Praga), si è quindi affrontato il caso italiano.

Le vicende interne vissute dal nostro paese sono partite dal miracolo economico (1958-1963) analizzandone le cause e le conseguenze sul piano sociale, economico e del costume. Si è quindi passati alla questione, centrale, di come questa grande trasformazione sia stata governata sul piano politico. Le vicende del centro-sinistra sono state affrontate e svolte nelle differenti fasi evolutive: dalla svolta a seguito del fallimento del governo Tambroni al primo governo di centro-sinistra Fanfani. Dal centro-sinistra organico di Moro (sorto dopo le elezioni e la crisi congiunturale del 1963) fino al “lungo ’68” con la contestazione e poi l’autunno caldo del 1969. La chiacchierata si è quindi conclusa con i tragici eventi del dicembre 1969 (Piazza Fontana) che aprono una nuova e drammatica stagione.

“Now ‘e’s gone too bloody far”

A proposito del progressivo sfaldarsi di quella che Churchill aveva chiamato “Grande alleanza”, a seguito delle divergenze tra i nascenti blocchi occidentale e sovietico, gli studenti mi chiedono alcune precisazioni sulla conferenza degli ambasciatori svoltasi a Londra dal 25 novembre al dicembre del 1947. Quella riunione, non a caso chiamata “conferenza dell’ultima possibilità” si concluse con un fallimento e vide in pratica riunito per l’ultima l’organismo composto dai ministri delle principali potenze alleate uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale: Gran Bretagna (Bevin), Stati Uniti (Marshall), Francia (Bidault) e Unione Sovietica (Molotov).

Così Jean-Baptiste Duroselle sulla sua Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni:

L’opposizione sovietica al piano Marshall, la creazione del Kominform, gli scioperi generalizzati d’ispirazione comunista in Francia, avevano creato una situazione estremamente tesa. Il 14 novembre la polizia francese aveva effettuato una perquisizione nel campo di rimpatrio sovietico di Beauregard e vi aveva trovato delle armi. Il 25, giorno di apertura della conferenza, diciannove cittadini sovietici, accusati di aiutare gli scioperanti contro il governo, furono espulsi. L’8 dicembre, l’U.R.S.S. replicò richiamando dalla Francia la sua missione di rimpatrio ed espellendo la missione francese di rimpatrio dall’Unione Sovietica, mentre restava ancora nei campi di prigionia sovietici un gran numero di abitanti dell’Alsazia-Lorena già arruolati nella Wehrmacht.

A Londra non si fecero che ripetere all’incirca le discussioni di Mosca [si fa riferimento alla conferenza degli ambasciatori di Mosca apertasi il 10 marzo del 1947]. Ma Molotov adottò un tono più violento, con continue allusioni alla “malafede” degli occidentali. Si persero dieci giorni in discussioni su questioni procedurali e quando si arrivò al dunque, Molotov non accettò che la Saar fosse staccata dalla Germania e rifiutò la nomina di una commissione sulle frontiere tedesche. Insistette sulla creazione immediata di un governo centrale tedesco, senza che alcuna misura preventiva fosse stata presa per l’unificazione politica ed economica delle quattro zone [L’atteggiamento di Molotov fu talmente irritante che Bevin, spazientito dall’ennesima richiesta, ad un certo puntò sbottò esclamando: “Now ‘e’s gone too blody far”].

Il 4 dicembre si discusse sul trattato austriaco. Ancora una volta il problema dei beni tedeschi in Austria fece fallire il negoziato, sebbene Molotov avesse leggermente ridotto le sue pretese. In conclusione, come dichiarò il generale Marshall il 19 dicembre, dopo la fine della conferenza, “non possiamo, per il momento, sperare nell’unificazione della Germania. Dobbiamo fare tutto il possibile nella regione in cui la nostra influenza si fa sentire.

Il mondo si divideva nettamente in due blocchi ostili.

(J-B. Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 al 1970, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1972, pp. 445-446)

Una lezione dai disastri?

Le catastrofi naturali e i disastri di natura antropica da sempre rappresentano un banco di prova tanto per le società antiche quanto per quelle moderne. Partendo da due eventi che hanno profondamente segnato la storia dell’Italia del secondo dopoguerra, il disastro della diga del Vajont e l’alluvione del 1966 che, tra gli altri centri, sommerse Firenze con il suo inestimabile patrimonio artistico, monumentale e culturale, l’articolo mette a confronto le modalità della gestione dell’emergenza e le risposte di medio-lungo periodo poste in essere dalle autorità pubbliche negli anni sessanta cercando di far emergere novità, elementi positivi e criticità con, sullo sfondo, il nodo della resilienza, cioè delle modalità con cui tali eventi vengono fronteggiati e superati.

Un mio contributo su “Storia e Futuro“, rivista on line di storia e storiografia.

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