Breve storia dello Stato sociale – Terza edizione

Fulvio Conti, Gianni Silei
Breve storia dello Stato sociale
Terza edizione
EDIZIONE: 2022
Collana: Quality paperbacks
ISBN: 9788829015115
In libreria dal 9 settembre 2022

Lo Stato sociale ha modellato il vivere civile occidentale. Il libro ne ricostruisce la storia in una prospettiva comparata e di lungo periodo: dall’assistenza ai poveri nell’Inghilterra elisabettiana alle leggi sociali di Bismarck; dalla nascita del concetto di sicurezza sociale nell’America di Roosevelt alla strada seguita in quegli anni dagli Stati totalitari, fino all’impetuoso sviluppo del welfare state in Occidente nel secondo Novecento. Nella terza edizione, il volume illustra i sentieri che lo Stato sociale ha intrapreso per rispondere alle sfide dei grandi cambiamenti sociali, economici e demografici oggi in atto. Dopo essere sopravvissuto a crisi economiche e attacchi ideologici, si è rivelato determinante anche per fronteggiare la pandemia di covid-19, continuando a rappresentare un baluardo di sicurezza per l’umanità.

The Evolution of the Italian Third Sector – in M. Minesso (ed.), “Welfare Policies in Switzerland and Italy”

E’ uscito, per la Peter Lang, a cura di Michela Minesso, Welfare Policies in Switzerland and Italy. Institutions, Motherhood, Family and Work in the 19th and 20th Centuries,
Il libro contiene un mio contributo dal titolo: Between State and Voluntary Action: the Evolution of the Italian Third Sector.

Welfare Policies in Switzerland and Italy
Institutions, Motherhood, Family and Work in the 19th and 20th Centuries
Series: Studies in Contemporary History
Edited by: Michela Minesso

This book provides two main contributions to the existing literature on the history of welfare institutions and social rights in the 20th century. First, it is, to the best of our knowledge, the first research to analyze the cross-country comparison of welfare policies between the two countries from a historical prospective. The comparison is particularly interesting as we focus on two nations with very different institutional settings. On one side Switzerland, a federal state. On the other Italy, a centralized state until only very recently. The second important contribution of this book is the specific set of policies analyzed: policies aimed at protecting motherhood, childhood and women workers’ rights during the 20th century, a period in which European society changed drastically

Welfare State e riforme sociali in Italia negli anni Ottanta

E’ uscito nel Dossier Protection sociale en Italie fin XIXe – XXe siècles, curato da Bruno Valat e Judith Rainhorn, della Revue d’Histoire de la Protection Sociale (2019/1 n. 12) un mio contributo sulle politiche di riforme e il Welfare State in Italia negli anni Ottanta dal titolo La protection sociale italienne et le système des partis dans les années 1980. Réformisme ou transformisme?

Résumé
Les années 80 ont représenté une phase de transition importante pour l’histoire du système de protection sociale en Italie. Au cours de cette décennie, le processus de construction de l’État-providence a donné lieu à quelques réalisations importantes sur l’ensemble du système national de santé. Dans le même temps, en raison du contexte économique national et international et de la situation politico-institutionnelle complexe du pays, l’État-providence italien était au centre d’un débat important sur la nécessité d’une réforme qui concilierait viabilité financière et protection sociale efficiente. L’article retrace la confrontation entre les forces politiques autour de ces thèmes, le chemin difficile des nombreux projets de réforme et les réalisations concrètes mais limitées qui en découlèrent.

Abstract
The Italian social protection system went through a major transition phase in the 1980s. Over the course of the decade, the welfare state construction process gave rise to several important achievements for the entire national health system. At the same time, owing to the national and international economic environment and the country’s complex political and institutional situation, the Italian welfare state was at the heart of the substantial debate on the need for reform that would strike a balance between financial viability and efficient social protection. The article explores the confrontation between political powers relative to these themes, the difficulties involved in the implementation of numerous reform projects, and the concrete but limited achievements made.

Ecco il link alla RHPS: https://www.cairn.info/revue-d-histoire-de-la-protection-sociale-2019-1.htm

A proposito di riforme, di politica (e di guardare un po’ più in là del proprio naso)

Ieri a lezione abbiamo letto alcuni passaggi del Libro Bianco su Assicurazioni sociali e Servizi Assistenziali redatto da Sir William Beveridge alla fine del 1942.

Il Rapporto Beveridge è la pietra angolare sulla quale, dopo la seconda guerra mondiale, venne edificato il welfare state.

Dando una scorsa ai Tre principii-base per proposte e direttive che vi sono contenuti, tuttavia, non può non balzare agli occhi una lezione di metodo (e non solo di quello) utile anche per l’oggi:

Primo: ogni nuova proposta per l’avvenire, pur approfittando dell’esperienza acquisita in passato, non deve essere limitata da quelle considerazioni di dettaglio consolidatesi nell’ottenere tale esperienza. E’ proprio adesso, con la guerra che tende ad eliminare ogni genere di limitazioni e di differenze, che si presenta meglio l’occasione di usare l’esperienza acquisita, in un campo fatto libero. Un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali invece di semplici rattoppi.

Secondo: l’organizzazione delle assicurazioni sociali deve essere trattata come parte di una comprensiva politica di progresso sociale. L’assicurazione sociale, quando sia pienamente sviluppata, può procurare sicurezza di reddito; è un attacco alla miseria. Ma la Miseria è soltanto uno dei cinque giganti sul cammino della ricostruzione, e forse il più facile ad attaccare. Gli altri sono la Malattia, l’Ignoranza, lo Squallore e l’Ozio.

Terzo: il benessere collettivo deve essere raggiunto a traverso una stretta cooperazione tra lo Stato e l’individuo. Lo Stato deve fornire protezione in cambio di servizi e contribuzioni, e nell’organizzazione di tale protezione lo Stato non deve soffocarne né le ambizioni, né le occasioni, né le responsabilità; stabilendo pertanto un minimo di attività nazionale non deve però paralizzare le iniziative che portano l’individuo a provvedere più di quel dato minimo, per se stesso e per la sua famiglia.

(Social Insurance and Allied Services. Report by Sir William Beveridge, tradotto in W. Beveridge, Alle origini del welfare state. Il Rapporto su Assicurazioni Sociali e Servizi Assistenziali, con saggi di U. Ascoli, D. Benassi, E. Mingione, Milano, F. Angeli 2010, pp. 47-48).

P.S. Per gli interessati, cliccando qui potete ascoltare la registrazione del programma radiofonico della BBC con il quale Beveridge, il 2 dicembre 1942, annunciava agli inglesi il proprio progetto.

Domanda sociale, corporate giving e nuovo welfare

Sulla scia dell’annuncio di Diego Della Valle di destinare una quota degli utili del proprio gruppo ad iniziative di solidarietà, Maurizio Ferrera ha affrontato ieri  la questione del come le aziende possano positivamente integrare il sistema di welfare:

Per essere davvero efficaci gli aiuti delle imprese non devono essere beneficenza occasionale. Ci vuole una strategia che (fatti salvi i casi di emergenza) aiuti i destinatari a recuperare autonomia, capacità di reddito e di lavoro, magari orientando le erogazioni verso consumi «meritevoli» (istruzione, salute, formazione). La stessa cosa vale per le erogazioni ad enti pubblici o associazioni del territorio.

Nel mondo anglosassone il corporate giving [cioè la decisione  da parte delle aziende di destinare risorse per iniziative aventi utilità sociale o ambientale ndr] non è solo denaro speso in sussidi o servizi diretti. È anche consulenza gratuita e dedicata da parte di manager delle aziende, compresi gli amministratori delegati. Le persone economicamente più vulnerabili sono prive di contatti, informazioni, competenze: non «sanno più come fare» per risolvere i problemi quotidiani.

A loro volta, le amministrazioni locali mancano non solo di risorse finanziarie, ma anche di know-how progettuale e gestionale. I tesori di competenze delle nostre imprese possono essere mobilitati per consigliare, stimolare, dare idee, fare sistema. Questo tipo di aiuto può peraltro essere fornito dagli imprenditori anche quando non possono permettersi di donare (tanti) soldi.

Il testo completo dell’articolo qui.

Il welfare della signora Thatcher

thatcherTutto cominciò con il primo shock petrolifero del 1973 per effetto dei molteplici fattori che provocarono la fine della cosiddetta golden age. Fu infatti nel 1974, all’indomani della caduta del governo Heath, avvenuta anche per la mobilitazione del potente sindacato dei minatori, e a seguito della creazione del governo di minoranza laburista presieduto da Harold Wilson (dopo le elezioni di febbraio) che il partito conservatore scelse di abbandonare definitivamente il tacito accordo con il partito laburista, in vigore da decenni, che vedeva i due principali partiti impegnati a non toccare le strutture portanti dello Stato del benessere. La linea di un deciso ritorno alle idee del libero mercato, nell’accezione ultraortodossa propugnata da von Hayek e dalla scuola economica di Chicago, fu annunciata da Keith Joseph al congresso dei conservatori del 1975, congresso che non a caso consegnò a Margaret Thatcher la leadership del partito.

Ben presto però fu chiaro come il ricorso dei laburisti alle tradizionali politiche di interventismo statale in economia fosse incapace di contrastare il nuovo fenomeno della stagflazione (compresenza di stagnazione economica ed inflazione). A poco dunque valse il tentativo del governo Wilson, fra il 1974 e il 1976, di favorire la ripresa attraverso un aggiornamento delle normative a tutela del lavoro e sulle relazioni industriali. Di fronte al montare della crisi, i rapporti interni al partito laburista si incrinarono. Ne scaturì una lotta fra la componente di destra e quella di sinistra che contribuì a minare l’esecutivo. Nel marzo del 1976 Wilson annunciò a sorpresa di voler lasciare. Nel frattempo, Margaret Thatcher aveva definito i contenuti della propria «svolta» imperniata sull’abbandono del tacito accordo di non belligeranza attorno ai principi e ai meccanismi del welfare state (che qualche tempo prima era stato ribattezzato butskellism) e si era fatta promotrice di una profonda revisione del sistema di protezione sociale nell’ambito di una più generale politica neoliberista che comportava inevitabilmente drastici tagli alla spesa pubblica.

Il successore di Wilson, Callaghan, cercò di correre ai ripari adottando una politica di maggiore rigore. Le riforme si interruppero e, con esse, il processo di espansione del welfare in atto da decenni. Visto il permanere delle difficoltà economiche, questa parziale conversione del Labour a politiche di contenimento della spesa pubblica, che per qualcuno rappresentava un inaccettabile avvicinamento alle posizioni dei conservatori, ebbe però l’effetto di scatenare un’ondata di manifestazioni che culminò nel cosiddetto «inverno del malcontento» del 1978 e in nuovi scioperi, che videro ancora una volta in prima fila il sindacato dei minatori. Furono proprio questi ultimi, attestati su posizioni a difesa dello status quo e delle nazionalizzazioni, che provocarono la caduta di Callaghan. Le nuove elezioni si conclusero con la vittoria di Margaret Thatcher e del partito conservatore. Avversa alla politica della concertazione e memore di ciò che era avvenuto ai governi del recente passato, la signora Thatcher pose tra i suoi obiettivi prioritari quello di ridimensionare il ruolo delle Trade Unions con una nuova legislazione in materia. Nei confronti delle organizzazioni più irriducibili, anche sulla scorta di precise scelte di politica energetica (petrolio e energia atomica in luogo del costoso carbone), scelse lo scontro frontale. Oltre alla privatizzazione delle imprese pubbliche, il governo conservatore annunciò la volontà di procedere alla chiusura dei pozzi minerari. Queste scelte provocarono gli scioperi delle acciaierie del 1980, quelli dei portuali del 1984, ma soprattutto la durissima vertenza, conclusasi con la sconfitta del sindacato nazionale dei minatori guidato da Scargill, che si protrasse dal marzo 1984 al marzo 1985. Contemporaneamente vennero accentrate nelle mani del primo ministro e del governo molte di quelle prerogative che, nel corso del dopoguerra, erano state delegate a organi composti da funzionari pubblici. Nell’ambito sociale la “cura neomanchesteriana” della signora Thatcher prevedeva provvedimenti drastici, come la vendita delle case popolari e la liberalizzazione degli affitti o la riforma del sistema educativo con l’introduzione dei voucher alle famiglie per la scelta fra scuole pubbliche e private. In campo assistenziale, nel quadro di un più ampio processo di ridefinizione dei poteri delle amministrazioni locali, furono poi approvate alcune misure per trasferire ad esse la gestione dei servizi sociali di supporto ai singoli e alle famiglie sottraendola alla competenza dello Stato. Analoghi criteri furono utilizzati, nonostante le violente proteste del sindacato e di molte organizzazioni di rappresentanza degli interessi, per la concessione dei sussidi per le abitazioni. Le esenzioni sulle imposte locali furono ugualmente riviste  e il numero dei beneficiari conseguentemente diminuito. Inoltre, molti dei contributi precedentemente erogati dallo Stato a fondo perduto furono trasformati in prestiti. Tutto ciò, oltre a mettere in seria difficoltà molte delle famiglie meno abbienti, provocò una forte contrazione della spesa (e della proprietà) pubblica in campo abitativo.

Le cose cambiarono anche sul versante previdenziale. Nonostante la crisi, nel 1978 il partito laburista, in parte per controbilanciare le politiche di contenimento della spesa, aveva varato una generosa riforma delle pensioni introducendo uno Schema pensionistico statale commisurato alle retribuzioni. Di lì a poco, però, i meccanismi automatici di adeguamento delle pensioni avevano posto seri problemi di sostenibilità. Giunti al potere, i conservatori, che pure avevano avallato la riforma nel 1980 modificarono il meccanismo di rivalutazione delle pensioni conseguendo un rilevante risparmio per le casse pubbliche. Nel 1984, poi, in parte ispirandosi alla filosofia dei piani pensionistici introdotti da Reagan nel 1981, i conservatori proposero una revisione complessiva del sistema previdenziale, che contemplava la sostituzione delle pensioni statali retributive con uno schema misto costituito da una pensione di vecchiaia minima pubblica integrata da assicurazioni private. Dopo un lungo e serrato confronto si giunse al Social Security Act del 1986. La legge proponeva interventi innovativi nel panorama europeo e destinati a influenzare provvedimenti successivi, come quello francese del 1995. In sostanza, si intervenne da un lato diminuendo gli importi erogati e, dall’altro, si favorì l’adozione di polizze assicurative private integrative.

Questa delicata opera di risistemazione del settore pensionistico si sarebbe conclusa sul finire degli anni ottanta. Nel 1988, venute ormai meno le resistenze delle organizzazioni sindacali, duramente sconfitte con l’epilogo della vertenza con il sindacato minatori, venne introdotto nuovo schema di tutela del reddito più restrittivo. In quello stesso anno venne ulteriormente incentivato il ricorso a schemi di tipo privato. Utilizzando un meccanismo simile a quello in vigore negli Stati Uniti, la nuova legge consentiva ai lavoratori di sottoscrivere una pensione presso operatori finanziari privati (compagnie assicurative, istituti bancari e finanziari, organizzazioni a carattere mutualistico, ecc.) e di versare nello schema privato la porzione contributiva che normalmente andava a finanziare la pensione statale commisurata al reddito o un altro tipo di pensione. L’anno successivo, completò il quadro una disposizione che rimuoveva il divieto, per coloro che avevano maturato il diritto alla pensione di base, di cumulare il reddito da lavoro con la pensione.

I conservatori agirono anche sul simbolo stesso del welfare state, quel Servizio sanitario nazionale, universalistico, gratuito e finanziato attraverso prelievo fiscale, creato all’indomani della seconda guerra mondiale dal governo laburista presieduto da Clement Attlee. La crisi degli anni settanta aveva messo impietosamente in luce un forte incremento dei costi di gestione e segnali di cattivo funzionamento del sistema. Il governo laburista avevano perciò nominato una speciale commissione per cercare di introdurre dei correttivi. L’avvento al potere della signora Thatcher interruppe i lavori della Commissione e aprì la strada a un deciso riassetto del settore. Le critiche della destra conservatrice furono sintetizzate con durezza in un documento del 1980 secondo il quale Servizio sanitario nazionale aveva palesato gravi limiti gestionali, soffriva di una eccessiva burocratizzazione e centralizzazione, di una inaccettabile tendenza allo scadimento nella qualità dei servizi offerti a fronte di un aumento esponenziale dei costi. La via d’uscita proposta era quella di ridurre il ruolo del governo e dei manager di Stato, introducendo forme di organizzazione e di gestione mutuati dal settore privato. In generale, il sistema avrebbe dovuto essere ristrutturato in modo da favorire il ricorso alla sanità privata e a forme assicurative individuali, sempre di tipo privato. L’ambizioso obbiettivo dei governi Thatcher fu pertanto quello di conciliare la diminuzione dei fondi pubblici con l’adozione di criteri di efficienza ed efficacia nei trattamenti terapeutici. Nel 1984 vennero creati organismi a livello centrale incaricati di imprimere la definitiva svolta in senso manageriale al sistema sanitario. A testimoniare questo cambiamento giunsero anche alcune novità lessicali, come quelle contenute nel Rapporto Griffiths sulla Sanità del 1983, nel quale, non a caso, si insisteva sul concetto di consumatore piuttosto che su quello di paziente. Sulla base di questi presupposti, si procedette alla deregulation di alcuni servizi, a cominciare nel 1984 da quelli in campo ottico-oculistico, e nel contempo venne incoraggiato il ricorso a strutture sanitarie e ad assicurazioni di natura privata.

L’avvento al potere della Lady di ferro segnò l’inizio di una nuova stagione destinata a modificare radicalmente l’approccio nei confronti delle politiche di protezione sociale per tutto il decennio successivo e oltre. Eppure, alla luce degli studi più recenti, gli anni del thatcherismo, per quanto indubbiamente caratterizzati da un forte ridimensionamento della spesa sociale, hanno tuttavia assunto una valenza più sfumata. Una più attenta analisi delle dinamiche della spesa sociale durante gli anni del predominio tory rivela infatti come, nonostante i proclami dei conservatori e gli allarmismi del sindacato e del partito laburista, la previdenza sociale e il sistema sanitario non subirono più di tanto gli effetti della «scure» neoliberista. Nonostante le dichiarazioni di intenti, infatti, l’ambizioso progetto di riassetto neoliberista del sistema pensionistico, di quello sanitario e più in generale delle strutture del welfare britannico si rivelò più difficile del previsto. La spesa sociale nel suo complesso, in altre parole, non crollò drasticamente come invece viene spesso erroneamente riportato oggi. Il principale obiettivo di contenimento della spesa fu quindi solo parzialmente raggiunto. Inoltre, neppure l’esito di queste politiche fu quello auspicato: in campo sanitario, ad esempio, l’effettivo raggiungimento di importanti risultati sul piano del contenimento dei costi non corrispose a un miglioramento dei servizi forniti dal Sistema sanitario nazionale, che anzi conobbe un progressivo decadimento. Inoltre, il sistema, che nonostante tutto restava ancora tendenzialmente universalistico, non aveva saputo fornire una protezione adeguata proprio per quei soggetti (donne, lavoratori a basso salario o a scarsa qualificazione professionale) che avevano maggiormente subito le conseguenze dei tagli alla spesa sociale, di quelli più in generale alla spesa pubblica e soprattutto delle politiche di privatizzazioni.

Viceversa l’idea che l’azione dello Stato producesse sprechi e sul piano sociale si traducesse in prestazioni costose e di basso livello qualitativo si rivelò vincente. Lo stesso partito laburista, dopo un lungo processo di ridefinizione ideologica culminato nella nascita del New Labour di Blair ne fu profondamente influenzato. Lo avrebbero testimoniato tanto gli interventi in campo pensionistico, anch’essi decisamente improntati all’ulteriore incentivo delle pensioni integrative private, o l’adozione di politiche di workfare, in alternativa al tradizionale strumento dei sussidi, in caso di disoccupazione. Questa versione “socialdemocratica” del rigore thatcheriano sarebbe stata incarnata dalla cosiddetta Terza via, una sorta di sintesi fra il modello sociale europeo e quello nord-americano, che però non sarebbe andata molto oltre le enunciazioni di principio per poi perdere, complice anche l’uscita dalla scena politica dei suoi principali proponenti (Bill Clinton e lo stesso Blair), molto dell’appeal originario.

Quello dell’era Thatcher è dunque un bilancio complessivo fatto di luci ed ombre. Non fu il male assoluto, ma neppure la panacea alla crisi degli anni ’70, né la risposta alle storture dello “Stato assistenziale”. La sua fu soprattutto una vittoria sul piano ideologico: con lei  – e con Reagan – il mercato (nell’accezione più ultraliberale) si prendeva la rivincita sullo Stato chiudendo una stagione iniziata, di fatto, con le politiche di risposta alla crisi del 1929. Nel 1983, alla vigilia del suo secondo mandato, quello che sarebbe coinciso con il suo apogeo sul piano politico, dichiarò con la consueta ruvidezza:

Con un governo laburista non ci sarebbe praticamente possibilità di sistemare i propri risparmi in modo che siano al sicuro dallo stato. Loro vogliono i vostri quattrini per il socialismo di stato, e hanno tutta l’intenzione di arrivarci. Mettete i risparmi in banca, e loro la nazionalizzeranno. Metteteli in un fondo pensionistico o in un istituto di assicurazioni, e un governo laburista li obbligherà a investire il denaro nei loro programmi socialisti. Se decidete di nascondere i vostri risparmi sotto il materasso, loro probabilmente nazionalizzeranno il materasso.

Ieri, alla notizia della sua scomparsa, da più parti, in prima fila il regista Ken Loach (del quale proprio in questi giorni sta uscendo The Spirit of ’45 dedicato alla nascita del Sistema sanitario nazionale) che è da sempre uno dei suoi maggiori detrattori, hanno chiosato causticamente: «Privatizziamo i suoi funerali».


Questo post riprende in parte i contenuti di alcuni paragrafi del libro di F. Conti, G, Silei, 
Breve storia dello Stato sociale, nuova edizione aggiornata, in uscita nel mese di maggio 2013  per le edizioni Carocci, Roma.

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